28 marzo 2024 | Messa in Coena Domini

Nella notte in cui fu tradito, durante la cena che noi rinnoviamo in questo momento, prima di dare inizio alla passione, Gesù realizzò due segni: il segno del pane e del vino come suo Corpo e suo Sangue (così come ci ha ricordato san Paolo nella Seconda Lettura) e il segno della lavanda dei piedi ai dodici, che abbiamo appena ascoltato dal Vangelo secondo Giovanni. Sono i due grandi segni del Giovedì santo che noi ora ci apprestiamo nuovamente a comprendere e ad assimilare.

 

Rileggendo con attenzione i due racconti, balza con evidenza un aspetto che il Concilio Vaticano II si è preoccupato di sottolineare fortemente: la Parola di Dio si intreccia con i gesti!

Questa è una “costante” della Rivelazione: Dio si manifesta «con gesti e parole intimamente connessi» (DV 2). Dio si rivela così: ciò che manifesta una realtà non è solo la parola, ma anche i gesti.

Nell’ambito della testimonianza cristiana i gesti non possiamo considerarli come un dettaglio inutile, irrilevante. Oggi, in modo particolare, parola e gesti ci svelano,insieme, il senso di questi due grandi Doni che edificano la Chiesa: l’Eucaristia el’amore fraterno.

 

Comprendiamone il senso.

Veniamo al racconto dell’istituzione dell’Eucaristiacosì come ce lo riporta san Paolo nella Prima Lettura. L’obiettivo dell’Apostolo è quello di correggereil modo in cui veniva celebrata e vissuta la «frazione del pane»: si era ridotto ad un banchetto mondano nel quale emergevano anche le disuguaglianze sociali. San Paolo qui ci ammonisce con forza: l’Eucaristia non è un generico pasto sacro (una sorta di intrattenimento religioso), ma ildono stesso di Cristo, nel quale c’è tutta la verità del Suo Amore che si consegna.

C’è il dono della sua vita e l’anticipazione di quello che avverrà sulla croce: vita spezzata, vita donata, sangue versato per una nuova Alleanza. Una vera e propriapro-esistenza.

Sicché le parole: benedire, spezzare, dare, rappresentano (devono rappresentare!) il nostro nuovo modo di essere, di amministrare la nostra vita. Un modo di essere che, però,spesso non trova spazio: nelle relazioni internazionali come nella gestione della cosa pubblica; nella vita ecclesiale come in quellapersonale.

Pensiamo alla grave crisi mondiale che stiamo vivendo: mentre il pianeta brucia a causa dell’inquinamento ambientale, aumentano i conflitti armati. Al punto che, per quanto assurdo, oggi non si può escludere un’escalation verso una guerra globale. Facciamo ancora fatica a capire che l’unica possibilità per il futuro dell’umanità, in un pianeta diventato piccolo, è quella convivenza tra culture diverse, profeticamente indicata da don Tonino più di trent’anni fa.

E poi ci sono i fatti di cronaca che stanno avvilendo le nostre belle Città, dove dilagano, con buona pace di (quasi) tutti, illegalità, delinquenza, violenza, malaffare, mercato della droga.

E infine a livello personale: inciascunosi fa sempre più strada la convinzione di essere una «individualità sovrana», dotata di una capacità assoluta di autodeterminazione. E questo – ironia della sorte – proprio all’indomani di una pandemia che sembrava avesse convinto tutti che «da soli non si salva nessuno!».

E, a livello ecclesiale, mentre proviamo a convincerci che l’unica via che può aiutarci ad andare avanti, in questo mondo in continua trasformazione, è uno stile, fino a qualche anno fa quasi sconosciuto, che si chiama sinodalità (volontà cioè di camminare insieme).

 

Ebbene: nella storia e nella geografia che ho appena evocato, noi, rispetto ai verbi eucaristici richiamati prima (benedire – spezzare – dare) a che punto siamo?

Pensiamo che possano essere coniugati nella nostra vita di ogni giorno o pensiamo piuttosto che siano solo dei begli auspici, dei nobili sentimenti di cui fa sempre bene parlare, ma non più di tanto?!

 

E veniamo all’altro gesto di Gesù, accompagnato da altre parole: gesto e parole della lavanda dei piedi. Qui, però – notate! –, i gesti hanno la precedenza sulle parole: Gesù si spoglia, si cinge il grembiule, lava i piedi, li asciuga. Li compie senza dire una parola! Non stupisce, pertanto, che Pietro non li capisca.

Quel che è certo è che non è un semplice insegnamento(morale) sul servizio: il suo è un segno profetico!

E comunque, questo suo modo di agire ci fa riflettere molto sul valore delle nostre parole, delle parole con cui annunciamo il Vangelo. A differenza di Gesù, noi purtroppo non siamo in condizione di dire: «Capite quello che ho fatto per voi?», perché ci mancano proprio i gesti.

Nella nostra vita di cristiani mancano i gesti e abbondano le parole.

L’evangelista Giovanni ci presenta Gesù che lava i piedi e li asciuga quale primo segno della sua liturgia sacerdotale, quello che ne riassume la missione ecclesiale: èil richiamo forte al comandamento dell’amore e del servizio: che ha valore solo se si traduce in un’azione concreta!

Questo grande, immenso insegnamento vorrei orariassumervelo attraverso la tela di un artista tedesco moderno, Köder. Guardate con attenzione il cartoncino che avete ricevuto all’inizio della celebrazione: per come il pittore riproduce la scena della lavanda dei piedi, sembra che Gesù non abbia volto.

Köder, infatti, dipinge Gesù di spalle, accoccolato ai piedi di Pietro, avvolto in un grande telo bianco di sapore ebraico. In realtà, il volto di Gesù c’è, anche se è ripreso di spalle, perché è dipinto riflesso nell’acqua del catino, raffigurato tra i piedi massicci e scuri dell’apostolo.

Il messaggio diviene bello ed emblematico: il vero volto di Cristo lo si vede riflesso nella verità dei gesti del servizio. Egli non si vergogna di essere raffigurato nell’acqua sporca di polvere, dove brilla in modo evidente il suo sguardo limpido.

 

Oggi siamo potentemente richiamati ad amare in modo concreto.

È concreto l’amore dell’Eucaristia: «Prendete e mangiatene».

È concreto l’amore vicendevole: è lavarsi i piedi, scegliere il catino come la più preziosa reliquia della Passione. L’intuizione è di Madeleine Delbrêl (mistica, poetessa e assistente sociale francese morta il  13 ottobre 1964, e riconosciuta venerabile dalla Chiesa). Così scrive:

«Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici, lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio, finché tutti abbiano capito nel mio il tuo Amore».

 

Sia il nostro agire silenzioso, ma parli di questa Carità che oggi celebriamo nell’Eucaristia, nel sacerdozio, nell’amore fraterno, perché possiamo contribuire concretamente, nel nostro piccolo, a rinnovare e a umanizzare le nostre relazioni, la cultura e la nostra vita ecclesiale e sociale.

Amen!

Potrebbero interessarti anche...