Così lontani, così vicini

Interessantissimo l’incontro di sabato 23 marzo con don Armando Matteo, docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. Interessantissimo e sferzante come una folata di vento fresco in pieno viso, di quelle che ti svegliano, ti aprono gli occhi, schiariscono l’aria e ti fanno vedere la realtà così com’è. Uno schiaffo in pieno viso a noi adulti, a noi che siamo nati, come ha specificato don Armando, tra il 1954 ed il 1984. A noi che siamo anagraficamente inevitabilmente adulti e che pure ancora abbiamo timore di sentirci tali. A noi che in realtà ci sentiamo giovani, che ci vestiamo come i giovani, che parliamo come loro…A noi che copriamo immediatamente i primi fili grigi, a noi donne che stiamo attente a “non vestirci da signora” e che quasi ci offendiamo quando ci sentiamo chiamare così, agli uomini con i jeans col risvoltino e la caviglia in mostra. A noi adulti che siamo così inebriati dalla vita da non riuscire ad accettare l’idea che non durerà per sempre, a noi adulti che non vogliamo davvero crescere perché crescere é invecchiare, é prendersi responsabilità, è scegliere, decidere, e scegliere vuol dire dividere, vuol dire ogni volta rinunciare alle mille possibilità che ci si possono aprire davanti per una sola ed unica. Ed allora ci ritroviamo a venerare la giovinezza, la giovinezza che è vita lontana dalla morte, la giovinezza che è irresolutezza, che non deve decidere qui e ora ma che può sempre procrastinare perché tanto “c’è tempo”, che quelle mille possibilità le ha ancora tutte qui davanti. E nella nostra venerazione della giovinezza, veneriamo di fatto coloro che la rappresentano: i bambini, i ragazzi. Li veneriamo al punto da imitarli esteriormente, nei gesti, nell’abbigliamento, nel linguaggio. Li veneriamo al punto da ritenerli perfetti così come sono, ignorando il fatto che invece sono “imperfetti” per natura proprio perché in evoluzione, in crescita, proprio perché non ancora “risolti”. Siccome non sappiamo più dar loro regole, ci illudiamo che non ne abbiano bisogno, siccome non sappiamo più offrire loro soluzioni, ci convinciamo che le sappiano già trovare da soli, che siano loro a dare senso alla nostra vita e non più noi ad insegnare il senso a loro. Ma che succede quando chi dovrebbe essere il modello, prende a modello colui cui dovrebbe offrirlo? Quando chi dovrebbe essere imitato si mette ad imitare chi dovrebbe imitarlo? Che succede quando ci si sottrae al gioco generazionale delle parti…quando non offriamo più argini e confini, quando eliminiamo tutti i conflitti in nome di un dialogo generazionale che di fatto diventa sempre più vuoto? Accade il disastro, dice don Armando, creiamo un vuoto educativo che non permette ai nostri figli di diventare adulti e che lascia noi immobilizzati nel nostro eterno giovanilismo. Succede che il ricambio generazionale si ferma e tutto si blocca in un presente eterno che si illude di essere immortale. Ed allora cosa possiamo fare? Don Armando ci invita ad essere per i nostri figli ponti, a prenderci cioè la responsabilità di mediare tra loro e la realtà, a rompere quella campana di vetro e di adorazione in cui li abbiamo rinchiusi ed a permettere loro di fare i conti con una realtà che è anche fallimento, sconfitta, che è anche piena di ostacoli da superare, per poterla vivere davvero, ci invita ad aiutarli a rendersi conto di non essere invincibili né infallibili nonostante la loro giovinezza anzi, forse proprio per quella. Don Armando ci invita ad essere per i nostri giovani allenatori e cioè non solo a voler loro bene ma a fare il loro bene anche quando questo significa litigare, creare conflitti, prendere le distanze. Per offrire loro modelli autorevoli che lascino un segno. Don Armando ci chiede infine di essere poesia, di attivare i desideri stimolando nei giovani la mancanza…noi che siamo abituati ad anticipare i loro desideri al punto da azzerarli, facciamo invece il loro bene se li induciamo a sentire le mancanze, di quello che non hanno ma soprattutto di quello che ancora non sono. La chiesa, che in tutto questo ha la sua parte di responsabilità, dovrebbe trovare la forza ed il coraggio di tornare a parlare di resurrezione. Perché se invecchiare fa paura é perché é la morte che temiamo, al punto da non riuscire più nemmeno a nominarla, ma se la morte é la via per la resurrezione, per una vita ancora più bella di questa, forse è in questa speranza che troveremo la forza per vivere in pienezza la nostra età e di tornare a ricoprire il nostro ruolo di adulti oggi e di anziani poi, nel gioco della vita. In vista di quell’oltre che è la vera giovinezza eterna. Una minima parte, questa, dei tantissimi spunti venuti fuori dalla conversazione con don Armando che è stata tra l’altro condotta in modo leggero e simpatico e che ha mostrato sprazzi della sua grande cultura che spazia dai più grandi sociologi contemporanei ad Harry Potter e della sua grande umanità. Davvero un incontro preziosissimo che sicuramente farà riflettere a lungo tutti coloro che hanno avuto la fortuna di partecipare.

Luisella Sparapano

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