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VIII Comandamento, la catechesi del parroco: il rispetto della verità

VII Comandamento (2)Con la catechesi comunitaria del mese di febbraio, tenuta dal parroco, don Pasquale Rubini, la comunità parrocchiale di san Bernardino ha conosciuto in modo più approfondito quelle che sono le offese alla verità (approfondisci): menzogna, falsa testimonianza e spergiuro, giudizio temerario, maldicenza o pettegolezzo, calunnia, lusinga, adulazione o compiacenza, iattanza, millanteria e ironia.
Spiegate queste offese, don Pasquale si è soffermato su alcuni altri aspetti dell’Ottavo Comandamento, partendo da quanto Sant’Agostino scrive nella Summa Teologiae, «sarebbe impossibile la convivenza umana se gli uomini non avessero fiducia reciproca, cioè se non si dicessero la verità». La virtù della verità dà giustamente all’altro quanto gli è dovuto: la veracità rispetta il giusto equilibrio tra ciò che deve essere manifestato e il segreto che deve essere conservato, implica l’onestà e la discrezione. Per giustizia, un uomo deve onestamente manifestare a un altro la verità. «Perciò, il discepolo di Cristo accetta di vivere nella verità, cioè nella semplicità di una vita conforme all’esempio del Signore e rimanendo nella sua verità – ha evidenziato don Pasquale -. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità». La verità è, dunque, la virtù che consiste nel mostrarsi veri nei propri atti e nell’affermare il vero nelle proprie parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall’ipocrisia.
L’uomo, naturalmente proteso alla verità, ha il dovere di rispettarla e di attestarla: «A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, […] sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità» (Concilio Vaticano II, Dignitatis humanae).
Nelle situazioni in cui si richiede che si testimoni la fede, il cristiano ha il dovere di professarla senza equivoci, come ha fatto san Paolo davanti ai suoi giudici: il credente deve «conservare una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini» (At24,16). È evidente che il dovere dei cristiani di prendere parte alla vita della Chiesa li spinge ad agire come testimoni del Vangelo e degli obblighi che ne derivano.
Tuttavia, come ha spiegato don Pasquale, il diritto alla comunicazione della verità non è incondizionato perché ognuno deve conformare la propria vita al precetto evangelico dell’amore fraterno: questo richiede, nelle situazioni concrete, che si vagli se sia opportuno o no rivelare la verità a chi la domanda. La carità e il rispetto della verità devono suggerire la risposta ad ogni richiesta di informazione o di comunicazione: il bene e la sicurezza altrui, il rispetto della vita privata, il bene comune sono motivi sufficienti per tacere ciò che è opportuno che non sia conosciuto oppure per usare un linguaggio discreto. Ad esempio, il dovere di evitare lo scandalo spesso esige una discrezione rigorosa.
In particolare, ciascuno deve osservare il giusto riserbo riguardo alla vita privata delle persone: i responsabili della comunicazione devono mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze del bene comune e il rispetto dei diritti particolari. Ecco perché l’ingerenza dell’informazione nella vita privata di persone impegnate in un’attività politica o pubblica è da condannare nella misura in cui viola la loro intimità e la loro libertà.
Proprio questo aspetto introduce una riflessione sull’uso dei mezzi di comunicazione sociale, così come suggerisce il Catechismo della Chiesa Cattolica. Premesso che nella società moderna i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell’informazione, nella promozione culturale e nella formazione, l’informazione attraverso i mass-media dev’essere al servizio del bene comune: perciò, la società ha diritto ad un’informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà. «Il retto esercizio di questo diritto richiede che la comunicazione nel suo contenuto sia sempre vera e, salve la giustizia e la carità, integra; inoltre, nel modo, sia onesta e conveniente, cioè rispetti scrupolosamente le leggi morali, i legittimi diritti e la dignità dell’uomo, sia nella ricerca delle notizie, sia nella loro divulgazione» (Concilio Vaticano II, Inter mirifica).

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