PASSIONE DEL SIGNORE

PASSIONE messa del venerd' santo

Prima lettura: Isaia 52,13-53,12

 

       Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente. Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –, così si meraviglieranno di lui molte nazioni; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai a essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. Chi avrebbe creduto al nostro annuncio? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato.

  Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso fino alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli. 

 I carmi del «Servo di JHWH» segnano una svolta nel messianismo biblico.

L’affermazione monarchica aveva fatto pensare che la salvezza escatologica potesse venire da un eventuale discendente della famiglia regale (cf 2Sam 7,12-14). La figura del re davidico compare nei salmi e nei profeti e servirà ad accendere l’immaginazione popolare verso un grande futuro, che si rivelerà ben presto illusorio. Con l’esilio le speranza riposte nella dinastia e nel dinasta davidico vanno attenuandosi e al suo posto subentra la figura di un martire ideale che sopporta afflizioni e pene per l’intera nazione.

Una figura insolita che non farà mostra di potenza ma di umiltà e di mansuetudine; non trionferà sui nemici con la forza delle armi anzi sarà deriso umiliato, sconfitto. Egli ritrae in concreto le sofferenze del popolo d’Israele nella sua amara esperienza dell’esilio. Sulle rive del Chebar, in terra straniera nasce una nuova scuola di spiritualità, un nuovo modo di pensare e di impostare i rapporti con Dio e con i propri simili, i connazionali e gli altri, fatto di remissività, di abbandono e di perdono.

Occorreva farsi umili davanti a Dio come lo si era diventati davanti alle genti e con tale atteggiamento da poveri, mendichi alzare il volto verso l’alto con fiducia. Non era importante offrire a Dio doni, quanto semmai mostrargli le proprie mani vuote e, bisognose di essere riempite dalle sue elargizioni.

I «poveri in spirito» sono nati nell’esilio e fanno sentire la loro voce in molti salmi (I salmi dei poveri) e tra di essi vi sono anche i «Carmi del servo di JHWH», l’ideale che Gesù ritiene dovere incarnare nella sua vita più che quello del discendente davidico. Infatti respingerà le insinuazioni di grandezza, di potenze come istigazioni salamene (Mt 4,1-11), fuggirà quando vorranno farlo re (Gv 6,15), e respingerà come diabolico il suggerimento di Pietro di evitare a scansare la passione (Mt l6,23).

Perché umile e indifeso, sarà facilmente catturato e vinto, ma per questa sconfitta conseguirà la vittoria. «Non doveva il Cristo patire è così, cioè e per questo motivo, entrare nella gloria», ricorda il misterioso viandante ai discepoli di Emmaus (Lc 24,26). Perché si è umiliato fino alla morte di croce Dio l’ha esaltato al di sopra di ogni potestà, ribadisce l’autore dell’inno presente nella lettera agli Efesini (2,1-11). 

Seconda lettura: Ebrei 4,14-16; 5,7-9 

        Fratelli, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede. Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno. [Cristo, infatti,] nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono. 
  • Il testo di Ebr 5,7-9 riassume l’esperienza del Getsemani nei termini più drammatici di tutto il nuovo Testamento. L’autore chiama la passione di Gesù «i giorni della sua carne». Nel linguaggio biblico il termine basar (carne) denota l’aspetto maggiormente precario più vulnerabile dell’essere umano: uno stato di «debolezza» (5,2) più che di forza, simboleggiata quest’ultima dallo «spirito».

La «carne è debole» ricorda Gesù nel Getsemani (Mt 26,41) e intendeva far riferimento anche alla condizione di panico e di ansietà che stava attraversando nel suo animo. La passione metteva alla prova anche Gesù. La sconfitta imminente, l’abbandono degli amici e, sembrava, anche del Padre (Mc 15,34) provocavano uno stato di insicurezza interiore che lo facevano tremare. Per questo, l’autore parla di «preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime» per ridire il suo stato di vera, estrema angoscia. Le semplici parole dei sinottici «passi da me questo calice» lo esprimono con maggiore concretezza e forse obiettività. Davanti allo spettro della morte Gesù non rimane impavido, ma atterrito e non trova altro scampo che volgere il pensiero al Padre. L’autore non ricorda che cosa egli dice ma certamente parole di comprensione e di soccorso.

La frase «Dio che poteva salvarlo da morte» lascia capire quale possa essere stato l’oggetto della sua preghiera. La morte sopraggiungerà egualmente, ma l’autore afferma che ciò nonostante «venne esaudito». La vera vittoria non era quella di evitare la morte, ma di saperla accettare; l’importante non era sconfiggere i nemici, ma superare le reazioni che si annidavano nel suo animo: la volontà di fuga davanti al dolore e alla croce, la possibilità di cedere e di arrendersi. Era ciò che a Gesù stava a cuore; non di evitare ma di superare la dura prova che la missione profetica gli stava riservando.

E Gesù fu esaudito per la sua riverenza, pietà, fiducia in Dio. Pregare è un atto di fede, ma occorre anche essere pronti ad accogliere qualsiasi risposta, sapendo che tutto ciò che Dio dispone è tutto quello che egli può dare, quello che è più opportuno per la creatura, maggiormente rispondente al suo disegno.

Gesù è stato sempre un «figlio» ubbidiente, ma ha dovuto anche apprendere a quale prezzo a volte l’ubbidienza è subordinata. 

Vangelo: Giovanni 18,1-19,42 

      Catturarono Gesù e lo legarono

     In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

 

 Lo condussero prima da Anna

Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.


Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!

Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.


Il mio regno non è di questo mondo

Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

 

Salve, re dei Giudei!

Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.
Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

Via! Via! Crocifiggilo!

Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Lo crocifissero e con lui altri due

Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».


Si sono divisi tra loro le mie vesti

I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.


E subito ne uscì sangue e acqua

Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».


Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi

Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. 

 Esegesi 

Il «racconto» della passione secondo Giovanni è totalmente diverso da quello dei sinottici (Mc-Mt-Lc).

Il quarto evangelista ricorda occasionalmente i patimenti di Gesù; di fatti descrive il suo cammino trionfale verso il trono della sua gloria. Il titolo è dato già in 12,32: «quando sarò esaltato da terra trarrò tutti a me». Nel Getsemani invece di essere prostrato dal dolore, sopraffatto dall’agonia (cf. Mc 14,33-34) Gesù si erge contro i suoi avversari prostrandoli a terra (18,6). In Marco è lui a cadere su se stesso sopraffatto dal dolore e dallo spavento; qui sono i suoi nemici folgorati dalla sua maestà. Un’intera corte e le guardie dei giudei indietreggiano e finiscono a terra quando dice: «Sono io». Gesù accetta sì il «calice» che il padre gli ha preparato ma da «Signore» più che da vittima.

Il processo davanti ad Anna (18,18-24) e a Pilato (18,28-40) è sostenuto da Gesù dignitosamente. Sembra egli il giudice più che il reo. Pur incatenato è sempre a testa alta di fronte agli accusatori e alle accuse. Non ha paura di rispondere al sommo sacerdote come il reagire contro il servo che l’ha ingiustamente schiaffeggiato mentre i sinottici riferiscono solo gli scherni e gli insulti che ha ricevuto e danno più rilievo al comportamento degli avversari che all’atteggiamento di Gesù.

L’interrogatorio da parte di Pilato serve a mettere in rilievo l’innocenza di Gesù e la sua supremazia sul giudice e sugli accusatori. Egli è la «verità» in persona e cerca di raggiungere persino lo stesso procuratore romano e quelli che l’attorniano dato che quelli a cui era prima di tutti destinata la rifiutano come rifiutano il loro re per sottostare a Cesare. Il «re dei giudei» di cui i soldati mettono in scena una sua simbolica intronizzazione è proposto a Barabba, un rivoltoso quindi un partigiano, ma per Giovanni è semplicemente un «ladro».

La scena centrale del racconto della passione di Giovanni è quando il funzionario romano fa uscire Gesù dall’interno del pretorio, lo fa sedere su uno sgabello alla vista di tutto il popolo e pronuncia le fatidiche parole: «Ecco l’uomo!» ( 19,14). L’evangelista nota il giorno (la «parasceve» ossia della preparazione alla Pasqua), l’ora «sesta», ossia verso le dodici) e il luogo (Lithostron). Pilato non si rende conto di ciò che sta facendo; senza volerlo egli sta compiendo un gesto altamente profetico: emette un pronunciamento che avrebbero dovuto emettere le autorità religiose d’Israele. In tutti i modi è un riconoscimento ufficiale della messianità di Gesù che viene più sicuramente da Dio quanto più è estraneo alle intenzioni di chi lo pronuncia. Quando Caifa aveva proclamato che era opportuna la morte di Gesù per salvare tutta la nazione, Giovanni commenta che pronunciò una profezia a sua insaputa (11,51); la stessa cosa pensa ora, anche se non lo dice espressamente, del gesto di Pilato. Solo così si spiega il rilievo che gli accorda.

La maggior parte degli esegeti interpretano il verbo ekathisen in senso intransitivo e quindi lo riferiscono a Pilato che si «siede» sul seggio del giudice; solo che il termine bêma (seggio) è senza articolo e sta più per «uno scanno» qualunque che per la sedia del tribuno. In tutti i modi con questo simbolico insediamento o senza di esso è indiscutibile per Giovanni che Gesù più che processato è riconosciuto persino dal procuratore il re messianico che gli israeliti attendevano. Non solo non c’è alcuna condanna sul suo conto, ma c’è il pubblico riconoscimento della sua reale dignità da parte della persona più impreparata a farlo, quindi è ancora più autentico.

Il viaggio di Gesù al luogo del supplizio è senza traumi; egli avanza «portandosi la croce» come uno stendardo. Non c’è alcun cireneo ad aiutarlo; come non ci sono segni di sofferenza o di stanchezza quando è sulla croce, non riceve alcuna droga («vino e mirra», non grida, non si raccomanda al Padre ma conserva il pieno dominio di sé e il controllo della situazione.

La croce non può essere né cancellata né dimenticata, ma è più un trono, un luogo regale che un luogo di tormenti. La scritta che Pilato ha fatto apporre al vertice lo conferma. Gesù è il re dei giudei e già fa sentire il peso della sua autorità; da le sue ultime disposizioni; consegna alla madre il discepolo prediletto e viceversa (19,26-27); dà compimento agli ultimi oracoli profetici (la spartizione delle vesti, il sorteggiamento della tunica, il dissetamento mediante l’aceto invece che con l’acqua, come aveva predetto il Sal 69,22) e quando aveva portato tutto a compimento, attuata quindi in pieno la sua missione, come un martire ma anche come un eroe vittorioso, lascia partire il suo spirito.

La frase giovannea «consegnò lo spirito» è volutamente ambivalente. Dietro il significato abituale, morire, ce n’è uno più recondito: trasmise lo Spirito sugli stanti, quindi dà corso alla sua attività salvifica. Poco dopo, in occasione della trafittura del costato, l’evangelista annota che ne «uscì sangue ed acqua». Se il sangue richiama la passione, la morte, l’acqua riporta alla promessa dello Spirito santo fatta nel giorno della festa dei tabernacoli (Gv 7,39). «Chi ha sete venga a me e beva. Disse questo dello Spirito che stavano per ricevere quelli che avevano creduto in lui, ma lo Spirito non veniva ancora accordato perché Gesù non era stato ancora glorificato» (ivi). Ma ora dalla croce lo può già effondere, anche se la donazione piena, ufficiale comincia la sera di pasqua quando nel cenacolo si presenta ai suoi, alita su di loro e dice: «Ricevete lo Spirito santo» (20,22).

I corpi dei condannati a morte venivano gettati nella fossa comune dei malfattori, ma gli evangelisti si sono preoccupati di evitare a Gesù questa umiliazione e gli accordano una onorata sepoltura. Anzi Giovanni menziona la bende, gli aromi e prima ancora la mirra recata in abbondanza da Nicodemo; la sepoltura non è affrettata, ma secondo tutte le regole giudaiche.

I sinottici parlano del sepolcro nuovo (Mt 27,60) Giovanni aggiunge che era in un «giardino», traduzione dell’ebraico gan, il luogo dove Dio aveva collocato il primo uomo dopo la creazione avvenuta nell’adamah o terra arida.

Gesù non è entrato perciò nel regno della morte, ma della vera vita; il paradiso delle origini da cui l’uomo era stato espulso si è finalmente riaperto grazie alla sua opera. La storia stava riprendendo il corso impostale dal creatore.

 

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