Messaggio del Rettor Maggiore in occasione di San Giovanni Bosco

RM_15Carissimi fratelli e sorelle, membri della Famiglia Salesiana, amici e amiche di Don Bosco

127 anni fa, il nostro amato Padre lasciava questa terra benedetta di Valdocco per andare in Cielo. I suoi figli e figlie, con il cuore trafitto dal dolore, sicuramente sono venute a pregare qui, la Madre Ausiliatrice, come noi oggi. Questo momento ci unisce intimamente a quegli istanti come ci unisce a tutti i fratelli e sorelle del mondo che anche oggi ringraziano Dio per la vita del nostro Padre e Fondatore chiedendo ancora una volta la sua intercessione e benedizione. Alcune ore dopo la sua morte, don Rua, il suo amico, fratello e successore, scriveva la sua prima lettera circolare che io voglio ricordare con emozione e tenerezza: Coll’angoscia nel cuore, scrisse, cogli occhi gonfi dal pianto, con mano tremante vi do l’annunzio più doloroso, che io abbia mai dato, o possa ancor dare in vita mia; vi annunzio che il nostro carissimo Padre in Gesù Cristo, il nostro Fondatore, l’amico, il consigliere, la guida della nostra vita è morto. Ahi! parola che trapassa l’anima, che trafigge il cuore da parte a parte, che apre la vena ad un profluvio di lacrime!

E più avanti: Per ora non occorre che io dica come Don Bosco ha fatto la morte del giusto…

[…] Neppure vi dirò qui delle sue virtù e delle opere sue, chè il tempo stringe e il cuore non regge.

E ancora: Dal canto nostro possiamo aggiungere ancora che abbiamo la più grande fiducia […] perché D. Bosco dal Cielo, ove fondatamente lo speriamo già accolto in gloria, ci farà ora più che mai da amorosissimo padre, e presso il trono di Gesù Cristo e della Divina sua Madre eserciterà più efficacemente la sua carità verso di noi, e più abbondanti ci farà piovere le celesti benedizioni.

Per loro, come per noi e migliaia (magari milioni) di persone in tutto il mondo Don Bosco è stato un uomo affascinante. Una figura gigantesca, un genio, ma che corre il rischio di essere troppo innalzato a tal punto da farlo irraggiungibile. Da una parte, Giovanni Melchiorre Bosco è stato solo uno, come ognuno di noi è solo uno, e d’altra, tutti noi, insieme, siamo stati chiamati ad essere Don Bosco oggi, la continuazione della sua opera. Infatti, questo “fenomeno” di identificazione di Don Bosco con la sua opera è così diffuso che non è raro sentire dire un po’ ovunque ai ragazzi e anche agli adulti “vado al Don Bosco” in vece di dire “vado alla casa di Don Bosco o all’oratorio di Don Bosco o all’opera, ecc.” Attenzione, cara Famiglia, cari amici e amiche, tutti noi siamo stati chiamati a essere, insieme, Don Bosco!

Seguendo le letture di oggi, voglio sottolineare brevemente tre caratteristiche della sua persona.

Nella prima lettura Dio dice, per mezzo del profeta: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura… Susciterò per loro un pastore che le pascerà… Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio…” Le costituzioni salesiane iniziano con questa certezza-professione di fede: “Con senso di umile gratitudine, crediamo che… lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.” [2] Ecco, Dio ha suscitato un pastore per i ragazzi, i più svantaggiati in primo luogo, ma per tutti i giovani del mondo, un uomo proveniente dai colli monferrini, da una famiglia povera di risorse materiali ma ricca di fede e umanità. Così Giovanni fu chiamato a essere un pastore tessitore di alleanze, come tutti i veri pastori. Infatti, il testo di Ezechièle curiosamente usa la formula tipica dell’Alleanza: “Io, il Signore, sarò il loro Dio”.

Sappiamo bene che l’epoca di Don Bosco fu un’epoca difficile, dove i confronti culturali, sociali, economici e religiosi erano moneta corrente. Lui fu un tessitore di alleanze non solo tra Dio e il suo popolo, ma anche tra i fratelli e le sorelle del popolo. Oggi Papa Francesco insite di andare all’incontro degli altri, rinforzando proprio la cultura dell’incontro. Don Bosco si sentirebbe a suo 2 agio con questo invito-mandato.

Carissimi superiori e responsabili della Famiglia Salesiana sparsa per il mondo: anche noi, Don Bosco oggi, siamo chiamati ad essere buoni pastori, tessitori di alleanze, curatori della cultura dell’incontro!

In secondo luogo, la lettera di Paolo ai Filippési, ricorda che “La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino”. Siamo figli di un Padre che ha vissuto intensamente questo invito. Lui è stato veramente un pastore affabile, seguendo le orme di San Francesco di Sales. L’affabilità, la familiarità così caratteristica delle nostre presenze, la cortesia, cordialità ed amabilità, cioè la tipica amorevolezza salesiana, non si improvvisa. Nemmeno si “impara” dall’esterno, anche se il buon esempio aiuta a risvegliarla nel cuore. L’affabilità si attinge dal profondo del cuore: un cuore riconciliato con Dio e con i fratelli e le sorelle, un cuore appassionato per Dio e i suoi figli, un cuore disponibile al sacrificio, deciso, aperto alla diversità. Don Bosco non è stato un genio dell’amorevolezza. Come non lo è stato nemmeno Francesco di Sales. Tutte e due hanno dovuto fare grandi sforzi e un grande ed impegnativo lavoro personale per raggiungere quella genialità che li ha fatti grandi uomini pieni di affabilità e capacità di vicinanza e di accoglienza. La loro genialità non è stata frutto loro perché erano geni, ma sono diventati geni, perché hanno vissuto con genialità l’essere discepoli missionari di Gesù Buon Pastore, l’uomo-Dio, umile e mite, capace di amare fino alla fine e perdonare fino all’ultimo suo respiro! Quindi, carissimi tutti, anche noi possiamo vivere così se ce lo proponiamo e ci aiutiamo gli uni gli altri e rimaniamo aperti alla grazia di Dio. Cara Famiglia Salesiana, siamo affabili!

Finisco, un ultimo tratto di Don Bosco che voglio sottolineare oggi viene fuori dalla lettura del Vangelo.

Matteo ci ricorda questa parola di Gesù: “Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”. Ecco, tutti noi riconosciamo tante volte Don Bosco come il più grande. Io sono convinto che è stato veramente un grande, ma se noi vogliamo presentare il nostro Padre come il più grande separandoci dalla Parola di Gesù, diamo ragione a quelli che ci criticano dicendo che siamo poco meno che fanatici. Ho detto tante volte già che noi non vogliamo continuare a incensare Don Bosco, né celebrare questo bicentenario della sua nascita con festeggiamenti trionfalistici o fuochi di artificio.

Se il senso di essere un grande o un genio, come dicevo prima, significa che lui è irraggiungibile, sbagliamo strada. Egli è stato veramente straordinario, ma come ognuno di noi può esserlo e come tanti, anche senza avere l’appartenenza formale nella nostra Famiglia. Il Vero e Unico Grande è Dio!

Perciò Gesù ci invita a diventare piccoli, semplici, umili come i bambini, pieni di sogni e di gioia di vivere, aperti a dire una volta e un’altra: Abbà, Padre!

Gesù, il Figlio fatto piccola creatura per noi, è stato il centro assoluto della vita di Don Bosco, e per mandato di Gesù lui è diventato pastore affabile dei giovani, piccolo insieme a loro e per ciò grande: “Non con le percosse, gli ha detto l’uomo venerando, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù” Carissimi fratelli e sorelle, in questa casa, la casa della nostra Madre, si è manifestata tante volte la gloria di Dio, perché tanti, ispirati dallo stesso Spirito e dagli esempi e insegnamenti del nostro Padre Don Bosco, sono diventati piccoli con i piccoli, ultimi con gli ultimi, pastori di alleanze, “segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri” [3] e a tutto il popolo.

Lei, Maestra di saggezza e di vita ci accompagnerà non solo per duecento anni in più, ma sempre purché siamo fedeli al progetto di Dio per noi e la nostra Famiglia: Essere come Don Bosco, con i giovani e per i giovani, pastori affabili e appassionati al servizio del popolo povero e sofferente. Un salesiano compositore argentino, Padre Eduardo Meana dice in un suo canto: “ ‘Salesiano’ è chi ha regolato il battito del suo cuore con le lacrime di tanti giovani impoveriti. Vede in Cristo i figli poveri e in loro vede Cristo. Un tal amore ti fa diventare giovane e ti fa bambino”.

Fonte: sdb.org

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