Lettera di don Angelo Mazzone per la Pasqua alla comunità parrocchiale nel tempo dell’emergenza COVID-19

“L’amato mio è sceso

nel suo giardino” Ct 1,8

In compagnia del Risorto nell’ora della prova

 

Lettera per la Pasqua alle sorelle e ai fratelli della Madonna della Pace

nel tempo dell’emergenza COVID-19

 

Carissimi,

mi sono sempre lasciato interrogare dal versetto del Vangelo di Matteo che riporta l’affermazione di Gesù: “Verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno” Mt 9,15. Evidentemente Gesù, così come ci spiegano gli esegeti, si riferiva al momento della passione. Sicuramente alludeva al giorno in cui, dopo la sua condanna a morte, sarebbe stato sottratto fisicamente alla vista dei suoi amici. Mi permetto però, forse forzando un po’ il testo, di pensare che la celebrazione della Pasqua di quest’anno attualizzi in qualche modo questo versetto. Abbiamo infatti vissuto il Triduo Pasquale facendo digiuno sacramentale (senza la celebrazione del Battesimo e della Penitenza) e abbiamo celebrato l’Eucaristia senza il volto di Cristo che è la comunità radunata. Dunque è un po’ come se lo Sposo ci fosse stato sottratto dal virus. Ma sappiamo che non è così, il Signore Risorto cammina sempre con noi e non abbandona la sua Chiesa. La diffusione rapida e devastante del COVID-19 ha paralizzato la nostra vita, ha messo in ginocchio l’economia e, come detto, ha impedito ogni forma di celebrazione comunitaria. Ma non ha spento nel nostro cuore quel seme di eternità che lo Spirito continua ad alimentare in tutta la Chiesa. Anzi noi cristiani vediamo questa stagione carica di possibilità di nutrire questo piccolo seme e farlo crescere attraverso una preghiera e una vita cristiana più essenziale e meno carica di inutili orpelli.

Celebriamo dunque la Pasqua con la trepidazione intima dello Spirito ma con la segreta amarezza di chi sa che quel gaudio è imperfetto. Sembra un po’ come se la quaresima si fosse fusa misteriosamente con la quarantena e continuasse, nonostante l’annuncio dell’Exultet. Purtroppo si prolungano ancora per noi le ombre della croce. Essa rimane ancora gravida di sofferenza al pensiero di medici che continuano a spendersi senza sosta nelle corsie degli ospedali, di tanti nostri fratelli che hanno perso una persona cara, di tantissimi uomini e donne che continuano a soffrire. L’Alleluja pasquale, che per definizione è un’acclamazione del popolo in festa, risuona nelle nostre chiese vuote si mescola all’esclamazione addolorata di Maria Maddalena: “Hanno portato via il mio Signore!” Gv 20,2 Fatichiamo ad andare oltre.

Dunque non vi formulo auguri di serenità, come quelli con i coniglietti e le campanelle, ma auguri un po’ più inquieti. Vi invito a leggerli e meditarli in questi giorni di letizia e di incertezza e ad indugiare nei chiaroscuri in essi contenuti. Con lo sguardo interiore di chi è certo di una presenza e che, nonostante tutto, non si stanca di cercarla ancora. Con il palpito del cuore di chi, come la sposa del Cantico, avvertendo la presenza dello Sposo ripete: “Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato, ma non l’ho trovato” Ct 3,2-3.

Vi propongo di declinarli in tre contesti-simbolo tipicamente pasquali che vi consegno come tre piccoli cammei.

 

Il guado

L’annuncio pasquale ci raggiunge mentre come comunità cristiana siamo ancora nel bel mezzo di un guado. Abbiamo lasciato alle spalle la terra delle nostre certezze e, mentre evitiamo che la corrente ci trascini via come ciottoli, non vediamo ancora l’altra sponda…

Tornare indietro non si può più ma avvertiamo che l’incedere si fa sempre più insidioso e faticoso. Ciò che sappiamo è che dobbiamo camminare per raggiungere un “altrove” che, se anche tutti ci rassicurano (andrà tutto bene…), nel nostro intimo presagiamo come enigmatico e incognito. In questo frangente della storia la nostra esperienza di Fede somiglia molto a quella di Giacobbe che lotta con Dio nel guado dello Iabbok (Cfr. Gen 32,23-32). In quel passo pur breve della Bibbia è contenuta la storia di un uomo che per tutta la notte lotta con Dio e gli chiede continuamente: “Come ti chiami?” La stessa storia di Giacobbe è archetipo della vicenda storica di ogni credente che nella notte della sofferenza lotta con Dio. In questa notte ci troviamo anche noi, che nella lotta al coronavirus abbiamo messo in crisi il nostro rapporto con il Signore. E continuiamo a cercare il suo volto nelle corsie degli ospedali, dietro le mascherine, nelle colonne di automezzi carichi di bare, ecc… e mentre lo combattiamo, come Giacobbe, lo stringiamo sfuggevole al nostro petto chiedendogli il nome.

Solo all’alba, che già intravediamo, il Signore, come fece con Giacobbe, si farà riconoscere, ci cambierà il nome e ci farà entrare nella nuova terra portando addosso, claudicanti come lui, i ricordi di questa notte. Così anche noi daremo un nome al guado della pandemia, così come fece Giacobbe allo Iabbok, e lo chiameremo Penuel (Volto di Dio). E scopriremo che il Signore, proprio in quest’ora di travaglio, ha esaudito paradossalmente le nostre invocazioni quaresimali: “Non nascondermi il tuo volto” Sal 27,9

 

L’esodo

Viviamo, mai come in questo frangente, la transumanza pasquale e il passaggio (Pesach) della storia da una terra all’altra con il carico di incertezze che ogni esodo comporta. E dopo un po’ di anni nel deserto, che per noi era un sostantivo poetico ma che purtroppo abbiamo imparato a declinare soltanto come aggettivo (le città deserte, le chiese deserte, ecc..), cominciamo come Israele a mettere in dubbio la bontà di Dio e a lamentarci perché la manna degli incontri virtuali ci ha stancato e siamo nauseati di questo cibo così leggero (cfr. Nm 21,5). Cominciamo ad avvertire la sete di relazioni autentiche, l’aridità delle relazioni provocata dal distanziamento sociale e come Israele cominciamo a chiedere impazienti: «Dateci acqua da bere!» (Cfr. Es 17,2). Per la stanchezza del cammino cominciamo a considerare dei miraggi i promessi allentamenti delle misure di contenimento del virus. I “corona-bond” e gli altri impegni del governo appaiono sempre più come delle chimere dietro le dune e neanche la promessa di tornare a riabbracciarci più forte di prima ci convince più di tanto, perché dentro di noi temiamo che probabilmente nulla sarà più come prima.

Sappiamo però che la terra dove scorre latte e miele (cfr. Es 3,8) che stiamo raggiungendo è la fiducia in Dio, la speranza della vita eterna, la carità che in questo momento di dolore vediamo miracolosamente aumentare nei tanti gesti di solidarietà e di fraternità universale. E sentiamo rivolte a noi le parole di Mosè: “Non abbiate paura. Siate forti e vedrete la salvezza del Signore.” (Es 14,13)

 

Il giardino

Abbiamo meditato nell’ascolto dei Vangeli della Passione che il luogo in cui tutto si conclude e da cui tutto riparte è un giardino. Nel giardino viene deposto il corpo di Gesù e da quel giardino proromperà l’annuncio della Pasqua! E noi siamo qui, nel giardino.

La tomba è vuota e Gesù è risorto dai morti! Lo sappiamo.

Ma dentro di noi è come se si fossero prolungate le ore del sabato santo. È come se quel silenzio che avvolge le nostre città e le nostre chiese spostasse sempre più lontano da noi il calore del cenacolo che sentiamo vitale per le nostre comunità e che è il luogo dove la sera di Pasqua Gesù Risorto appare ai discepoli, liberi dai divieti di assembramenti.

Per noi invece il tempo è come se si fosse fermato al mattino del sepolcro vuoto: sappiamo che Gesù è risorto ma non lo vediamo né sentiamo e mentre Egli ci interroga come Maria: “Perché piangi? Chi cerchi?” Gv 20,15

Carissimi fratelli, si tratta di stare ancora un po’ nel giardino e, anche se il dolore delle lacrime, riga il nostro sguardo verso il Risorto e ci rende incapaci di riconoscerlo, anche se quasi ci è dolce indugiare in questo giardino alla ricerca dell’amato, noi, come la sposa del Cantico, sappiamo che il nostro amato è già sceso nel giardino (Cfr Ct 1,8) e tra qualche istante chiamerà anche ciascuno di noi col nostro nome. E noi come Maria di Magdala gli risponderemo: “Rabbunì!” Lo sentite?

Auguri!

                                                                          Don Angelo

                                                                                                  Vostro parroco

Molfetta, 12 aprile 2020

Pasqua di Risurrezione

 

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