Lettera del parroco don Angelo Mazzone per l’inizio del nuovo anno pastorale alla comunità parrocchiale

“La Cigale, ayant chanté tout l’été,

Se trouva fort dépourvue

Quand la bise fut venue”.

 Jeane de La Fontaine

PERSEVERARE

Lettera per l’inizio del nuovo anno pastorale ai fratelli e sorelle della Madonna della Pace

 Carissimi,

mentre l’odore della pioggia e il fresco chiudono l’ennesima estate, l’estate della siccità e del gran caldo, l’estate di Gabbani, di Rovazzi e delle altre musichette che abbiamo canticchiato per tutto il tempo sotto gli ombrelloni, vi immagino a rimettere a posto teli da mare e costumi da bagno e a pensare al futuro prossimo e mi permetto di farvi compagnia. Come vi ho scritto altre volte, sento questo momento dell’anno come momento opportuno per scelte decisive, per proposito nuovi e importanti. Lo sento come un kairòs, un “tempo di grazia” in cui si possono dare veri e propri cambiamenti e/o ricominciamenti. Ci aiuta, da questo punto di vista, l’inizio delle attività scolastiche dei nostri ragazzi. Questo ci riporta alla nostra fanciullezza, quando, mentre varcavamo la soglia della scuola, ripetevamo nella mente: “Quest’anno studierò di più!”. Ed è così che siamo diventati adulti.

Credo che nel proposito di fare bene, di fare di più, di fare meglio, sia contenuto il seme della maturità umana che cammina verso il suo compimento, “fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13). D’altronde la vacuità delle vacanze (vacanza e vacuità hanno la stessa radice!) ci stanca e, dopo due mesi (o forse più!) , le grigliate con gli amici e le mellonate sulla spiaggia non ci dicono più niente. Anzi, suonano alla nostra mente come severi rimproveri per il fatto che, come nella favola di La Fontaine, la nostra estate è stata più simile a quella della cicala che a quella della formica. Inesorabile l’autunno incipiente ci ricorda che, forse, abbiamo perso tanto tempo e, quel che è peggio, non siamo neanche rilassati! La stagione avvenire ci appare pertanto come uno spettro. Nella canzonetta di Francesco Gabbani, che è diventata il tormentone dell’estate, ad un certo punto si dice proprio così:

Dietro le nostre spalle un morso di felicità

davanti il tuo ritorno alla normalità

lavoro e feste comandate

lasciate ogni speranza voi ch’entrate.

 Immobilizzati dunque tra la consapevolezza del tempo che è andato inesorabilmente e gli impegni imminenti che stanno lì ad attenderci (accompagnati dai nostri problemi economici, di famiglia, di lavoro, a volte anche di salute..) viviamo un presente che ripiega su di noi immobilizzandoci moralmente e a volte anche fisicamente. Il futuro ci sembra minaccioso e il passato inutile. Di quest’ultimo restano soltanto migliaia di fotografie che, dopo aver fatto il giro del mondo sui social media, continuiamo a scorrere sui nostri smartphone con tanta nostalgia non accorgendoci che, continuando a “guardare indietro” in questo modo, diventiamo “statue di sale”; proprio come la moglie di Lot! (Cfr. Gen19,15-26). Più in generale il passato che vorremmo rivivere non è radicato nella memoria di ciò che il Signore ha fatto per noi e tanto meno il futuro apre alla speranza nella sua fedeltà. Notre héritage n’est précédé d’aucun testament / il nostro patrimonio non è preceduto da alcun testamento, scrive con tristezza lo scrittore e poeta francese Renè Char. Non esiste un atto della volontà che consegna ai posteri, ciò che ci consola è questo eterno presente, questa sempiterna evoluzione del mondo, dove l’unica cosa che possiamo fare è consumare: divertimenti, feste, sagre, ecc..in qualsiasi momento e in qualsiasi stagione.

E’ un’analisi della situazione un po’ greve ma reale. Per questo pongo alla vostra attenzione una virtù un po’ in estinzione (come tante oggi!) che offre, a mio avviso, la possibilità di recuperare le suddette istanze e di aiutarci nel nostro cammino. Essa fa parte della buona tradizione cristiana e, ne sono certo, può aiutarci a venire fuori da questa empasse in cui sembriamo intrappolati. Mi riferisco alla virtù della perseveranza.

Il vocabolo greco che nel Nuovo Testamento viene tradotto con perseveranza, o talvolta con pazienza, costanza o fermezza, è upomonè, composto da upo, preposizione che si traduce generalmente con sotto, e meno, verbo che significa stare, dimorare, abitare. Il verbo greco upomeno (da cui il vocabolo upomonè) ha anch’esso connotazione sia di modalità di resistere, di perseverare nella fede nelle vicende del mondo, sia di attendere con desiderio e fiducia la venuta di Cristo mantenendo la fede.

Potremmo tradurre upomonè in maniera letterale come il sotto-stare e più esistenziale come lo star-ci, nel senso di rimanere, stare, imparare ad abitare e vivere le situazioni che la vita e le sue vicende presentano. Imparare da questo tempo, da questa storia e trasformare la nostra realtà, molto spesso deludente e angosciante. Insomma se qualcuno immagina la perseveranza come un atteggiamento passivo di sopportazione e sottomissione alla vita si sbaglia. Anzi! Se nella costruzione della propria storia e della propria persona, dei propri progetti e delle proprie relazioni si indulge spesso, chiudendo ben più di un occhio, con un fare impudente e connivente con la mediocrità e pressapochismo, la perseveranza ristabilisce il primato dell’etica sulle proprie azioni e sui propri pensieri. La perseveranza è la mano ferma sul timone della propria esistenza, senza la quale navighiamo a vista e rischiamo la deriva. La perseveranza è contraria alla smania stolta dell’arrivismo, ha invece il passo sicuro di chi sa dove vuole andare e soprattutto perché vuole tagliare quel traguardo. Che sia perseveranza nello studio fertile di libri, discipline o strumenti musicali, nel ripulirsi delle proprie incoerenze, nell’amare le persone, nel lavorare onestamente o nell’essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo, non importa. Quel che importa è che il fermo rigore della perseveranza (dal latino per – a lungo – severus – rigoroso) a monte, sgorga da un giudizio forte, ponderato, lucidamente deliberato e perciò, di immenso valore: “Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita” (Lc 21,19).

Il rischio di rimanere soli in questo proposito ci sta tutto e bisogna metterlo in conto ma ne va della nostra libertà, della cifra della nostra umanità. Giorni fa è apparsa su Facebook una foto che in pochi giorni è diventata virale: due amanti che lo scorso tre settembre durante un nubifragio che si è abbattuto sulla città di Lecce, incuranti della pioggia e da soli sotto il diluvio continuavano a baciarsi. La foto è stata “battezzata”: Gli amanti di Lecce. Ho pensato che se hai il cuore innamorato tutto diventa bello e mentre gli altri scappano per ripararsi dalla pioggia, tu decidi di fermarti solo per il gusto di sorridere e di “inzupparti” con l’amore della tua vita. Per essere cristiani, come per baciarsi sotto la pioggia bisogna avere coraggio e il cuore libero. Perché alla fine in amore è più importante baciarsi che ripararsi.

Siano allora questo coraggio, questa perseveranza nelle difficoltà, questo stare a tutti i costi con Gesù le prospettive di questo altro tempo che il Signore ci dona. Ci faccia compagnia la sua Parola: “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mt 24, 13).

Buon anno pastorale a tutti!

Molfetta, 8 settembre 2017                                                      Don Angelo

    Natività della B.V. Maria                                                         vostro parroco

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