L’interno

L’interno della chiesa è a una navata centrale, ai due lati della quale si aprono due ordini di cappelle, che soltanto a sinistra sono comunicanti, secondo l’originaria impostazione gesuitica. L’ampia zona rialzata del presbiterio è separata da un transetto molto compresso. La lunga volta a botte unghiata, interrotta dalla cupola, si conclude in fondo al rialzo presbiterale con la semicalotta a spicchi dell’abside.

La chiancata in pietra, escluse  le sei cappelle e il coro, furono commissionate al maestro muratore  Onofrio Mezzina, e poste in opera il 1784. Originariamente le cappelle erano pavimentate a riggiole (alcuni avanzi sono stati murati nella sala capitolare ed un più ampio pezzo si conserva ancor oggi nel battistero; il coro era ammattonato con un “pavimento ubi laterculis…..strato”), come riporta l’iscrizione del cappellone di s. Corrado risalente all’antonucci.
Dal 1981 la navata centrale è stata pavimentata in cotto.
Il coro ligneo a doppio ordine di stalli, 24 per i canonici, 36 per i partecipanti e due sedie identiche, una delle quali per il vescovo, l’altra per il concelebrante, in legno di noce, fu commissionato ad un ebanista di andria. Mastro giuseppe martucci. Ormai residente a molfetta, risale agli anbni 1780-1782.
Le decorazioni a stucco, commissionate da mons. Antonucci e realizzate su disegno del gimma dai fratelli lombardi tabacco e dal monopolitano michele cattedra, costituite dalle paraste coi capitelli, dalle sottili modanature, da cartigli, festoni, corolle folreali e figurine angeliche, furono concluse nel 1781, come è evidenziato da; in realtà i lavori furono ripresi e conclusi definitivamente da carlo andrea tabacco e collaboratori nel 1785. L’imponente altare è fiancheggiato da due colonne corinzie ed è sovrastato da un timpano mistilineo con al centro un cherubino che regge il grande diadema del coronamento. Del 1845 è la balaustra in marmo. Nelle nicchie laterali sono collocate le grandi statue di stucco di S. Matteo (a destra) e di S. Giovanni (a sinistra). In fondo all’abside, c’è, in posizione centrale, il grande stucco dell’Assunta con gli angeli, eseguito sotto la supervisione del Gimma. Lungo la curvatura dell’abside, ai lati dell’Assunta, troviamo due tele, l’Adorazione dei pastori (foto a sinistra)Adorazione pastori, attribuita a Vito Calò e databile al 1805, e  l’Epifania del pittore romano Paolo Lanari, dei primi dell’800, di influenza giaquintesca.

Sulle pareti laterali del presbiterio, al di sopra degli stalli canonicali, sono collocati quattro dipinti; S. Ignazio (sotto a destra),databile al primo ventennio del XVIII secolo, e S. Francesco Saverio (foto sotto a sinistra) che converte gli indigeni, databile alla prima metà del XVII secolo, attribuita a Carlo Rosa. A sinistra del presbiterio, il Transito della Madonna,  di incerta attribuzione del sec. XVI, e la Nascita di Gesù di Vito Calò.Già al tempo della gestione gesuitica, gli altari e le cappelle si presentavano eterogenei, non unificati esteticamente fra loro a causa di scelte dipese dalla varietà dei committenti iuspatronati.

S. Ignazio S Francecso Saverio 2 I due altari DeLuca e Santoro, infatti, pur essendo coevi, risultano notevolmente differenti tra loro. In tempi non molto lontani, gli stessi ambienti subirono modifiche e rifacimenti, pur se di modesto rilievo.

LE CAPPELLE a sinistra

Secondo l’uso del tempo i cadaveri venivano inumati nei sotterranei delle chiese, senza nome o altro dato di riconoscimento che ne consentisse a distanza l’identificazione; solo pochi privilegiati — esponenti dell’alto clero o membri di famiglie patrizie che possedevano cappelle private — sfuggivano all’anonimato.

Come anzidetto, quasi tutte le cappelle si configurano quali cellule staccate l’una dall’altra, intrensicamente omogenee, anche se discordanti tra loro. Ognuna di loro, infatti, vive come un organismo autonomo, cosa del tutto normale nelle chiese gesuitiche, dove per consuetudine la Compagnia concedeva alle ricche famiglie la responsabilità della decorazione tanto che molto spesso, alcune famiglie davano incarico, all’ordine gesuitico, di allestire la cappella, pagandone naturalmente le spese.
1) Cappella del Crucifisso Fu fondata nel 1690 dal protonotario apostolico e primicerio Filippo Farelli, a devozione del padre Marino. Per la dovizia degli ornati e per l’incalzante decoro plastico, questa cappella, insieme a quella dei SS. Pietro e Paolo, è la più imponente.
L’altare è inserito in una decorazione barocca, estremamente fantasiosa e simbologia. Dai plinti del basamento, contenenti gli stemmi dei Farelli e della Confraternita di Gesù, si avvitano, tra una molteplicità di putti, tralci di vite con frutti e grappoli d’uva. Nel sarcofago, posto alla base dell’altare, il, Cristo morto.
Al centro, sull’altare, troneggia l’immagine del Crocifisso che volge le spalle alla lontana città di Gerusalemme: è proposta l’immagine del “Cristo vivo”, inchiodato agli assi della croce con tre chiodi.
Sopra il crocifisso, la tela della Flagellazione mostra Cristo legato alla colonna del pretorio governato da Pilato; tale colonna, nell’esecuzione della pena, era bassa, sì da consentire al carnefice di colpire il condannato sia sulla schiena che sul petto, come si osserva la gestualità di uno dei due fustigatori; un terzo carnefice è ripreso nell’atto di legare le mani a Gesù.
Ai lati della tela, le statuine dell’Addolorata a sinistra,        e quella della Madda-lena a destra. Più in alto, troviamo la Veronica e S. Elena.
Sulle pareti laterali, altre due tele raffigurano rispettivamente Cristo nell’orto e la Coronazione di spine. Queste due tele, assieme alla Flagellazione, furono inviate dal perlato Farelli da Napoli; si è orientati ad attribuire tutte e tre le opere al De Matteis, o comunque alla sua scuola.
Sotto la tela dell’orazione all’orto, una lapide funebre reca la data del 1690 ed in alto lo stemma di famiglia.
A destra, invece, sotto la coronazione di spine, il cenotafio di Filippo Farelli con un busto del prelato e lo stemma di famiglia.
La volta della cappella mostra la Deposizione. Opera del 1783, molto probabilmente di Vito Calò.
2) Cappella di S. Anna             Questa seconda cappella fu patronata dalla Famiglia DeLuca. Sulla parete destra, il feretro di francesco Antonio de Luca, vescovo di Tursi ed Anglona, alla cui virtù il fratello Didaco ed il nipote Marcello dedicarono l’altare e il tumulo.      L’altare seicentesco, più volte rifatto, mostra ai due lati, in basso, gli stemmi della famiglia de Luca. Più in alto, due nicchie vuote sormonate da piccoli timpani. Al centro tra le due nicchie, la tela raffigurante la Sacra Famiglia con S. Anna e S. Gioacchino  tra un nugolo volante di angeli che lasciano cadere una pioggia di petali di rose. L’opera è presumibilmente attribuibile al bitontino Nicola Gliri, ispirato ad analoghi dipinti di Carlo Rosa, cui la tela in questione fu in un primo tempo assegnata.
Come sovraporta della parete sinistra, da circa trenta’anni la cappella conserva la cinquecentesca tavola Dormitio Virginis, attribuibile molto probabilmente a Marco Cardisco intorno al 1530. La narrazione del mistero raffigurato orbita intorno alla morte e all’assunzione in cielo della Vergine Maria. In basso, le figure degli apostoli, assistono sgomente al trapasso della Madre di Cristo, mentre l’imberbe S. Giovanni incrocia le mani delle defunta e S. Pietro recita il rituale funebre  ai piedi del letto di morte. In alto, il Cristo circondato da due putti reggi-candele e da una chiostra di serafini raccogliel’anima della genitrice nel suo grembo. Ancora ai lati di questa immagine, sempre in alto, le figure di S. Giovanni Battista col vessillo pasquale e quella di S. Michele Arcangelo, fornito di bilancia e di spada, che nella tradizione iconografica sta a rappresentare la pesatura delle anime che rimanda al Giudizio Universale.
A destra, il mezzo busto del prelato è racchiuso, in unna nicchia ovata, tra due putti che reggono uno la mitra, l’altro il pastorale. Questo monumento funebre indirizza lo sguardo dell’osservatore verso il centro, dove, ai lati dello stemma archiepiscopale di Mons. F.A. deLuca, sormontato da un teschio, due mezzi scheletri seduti, asseiem a due putti che reggono ciascuno un teschio, spingono alla riflessione sul memento mori, o sulle vanità della vita.
3) Cappella di S. Luigi              Per erigere il battistero della nuova Cattedrale, il vescovo di Molfetta, Mons. Gennaro Antonucci, cedette alla famiglia Cavalletti la terza cappella a sinistra, in cambio della prima a destra già di patronato della stessa famiglia. Il vescovo concesse inoltre ai Cavalletti di poter usufruire nella nuova cappella di una tomba di famiglia.
E’ così chiamata dalla pala, opera di Nicola Porta, raffigurante i santi Luigi Gonzaga e Stanislao Kotska, che manifesta innegabili dipendenze formali dal Giaquinto; l’opera fu commissionata dai Gesuiti con l’intento di sottolineare il prestigio sociale della Compagnia con due santi di dichiarata nobiltà principesca. La cappella è dedicata alla memoria del giurista e protonotaro apostolico Giuseppe Cavalletti dalle sorelle zitelle Francesca e Vittoria, che dietro pagamento delle spese, affidarono all’Ordine il compito dell’allestimento della cappella; il parato marmoreo fu commissionato il 1749, dall’allora rettore del Collegio Carlo Capece al napoletano Domenico Antonio Troccoli, che completò il suo lavoro nel 1752.
La decorazione marmorea gioca sull’elemento cromatico, la cui varietà tra il verde, il rosso ed il giallo si combina coi bianchi con gusto sobrio e raffinato.     L’altare in marmo, nel suo crescente salire tra volute e riccioli lungo i due pilastri, attraverso l’architrave inarcata centralmente si compone in un’armoniosa verticalità fino al candido stucco della colomba posta in cima.
Sulla parete a sinistra, per sua espressa volontà, è stato sepolto Mons. Achille Salvucci, vescovo della nostra diocesi dal 1935 al 1978. Il monumento funebre mostra il ritratto, opera della scultore Giulio Cozzoli, in un tondo bronzeo a bassorilievo. Il sepolcro, progettato dagli ingegneri Mezzina e Roselli, si inserisce con estrema semplicità nella più ornata cappella senza alterarne l’oroginaria omogeneità, utilizzando un bassorilievo in calcare locale, databile agli inzi del sec. XV, con una teoria di santi che fiancheggia   — nel centro — la figura a mezzo busto del Cristo risorgente dal sepolcro.
Sulla parete destra, il monumento funebre di Giuseppe Cavalletti.

CAPPELLONE dell’addolorata

Così chiamato dal soggetto della grande, omonima pala.
L’altare fu realizzato nel periodo 1779-1781 per iniziativa di Mons. Antonucci, contemporaneamente al corrispettivo altare dell’Assunta, posto di fronte. Fiancheggiato da due colonne corinzie e sovrastato da un timpano mistilineo che reca nella sommità centrale un cherubino che regge una grande corona.
Nelle nicchie laterali, dall’introdosso a piume di struzzo, sono collocate, a sinistra la statua in gesso di S. Giovanni, a destra la statua anch’essa in stucco di S. Matteo, perfettamente in asse rispettivamente con S. luca e S. Marco del cappellone posto di fronte. Sotto le nicchie, due porte, una delle quali corrisponde all’ingresso di Piazza Giovene, l’altra è stata chiusa in tempi a noi più vicini per collocarvi i monumenti funebri di Vito Fornari (1953) e Giuseppe Maria Giovene (1837). Il cappellone ospita anche un dipinto di S. Girolamo, opera databile alla seconda metà dell’800 ed attribuita al molfettese Nicola Nisio.
Copia di AddolorataIl dipinto dell’Addolorata fu commissionato da Mons. Antonucci al napoletano Fedele Fischetti, che lo eseguì nel 1778, adeguandolo alle stesse dimensioni dell’Assunta del Giaquinto. Il tema ricorrente è quello del sacrificio di Cristo che si offre per redimere l’umanità dal peccato originale. La figura del Padre sovrasta il Figlio deposto dagli Angeli nel sepolcro, alla presenza dell’Addolorata. Nell’angolo in basso a sinistra, è ripresa la cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden.
Il Fischetti è uno dei più brillanti artisti attivi a napoli nella seconda metà del ‘700: ne fa fede l’attività pittorica svolta nella reggia di Caserta.
Attraverso la porta sulla destra di chi guarda il Cappellone, si accede alla sacrestia e alla Sala Capitolare e poi nei vani retro absidali. Su un muro di un ristretto vestibolo è appesa una piatta croce lignea di gesuitica memoria, utilizzata negli esercizi spirituali dette “coronelle”.
Nella sacrestia si trovano e ritratti dei vescovi che ahnno governato la diocesi di Molfetta (tra tutti, ricordiamo il ritratto di Mons. Rossini, opera del pittore De Napoli, di Terlizzi, ed il ritratto di Mons. G. Cypbo, asceso al soglio di Pietro col nome di Innocenzo VIII).
(Oltre ad un altare e d un armadio in noce intarsiato, avanzi del coro distrutto della Chiesa Vecchia, una volta nella sacrestia, si trovano ora nel seminario vescovile).
Dalla sacrestia si entra nella Sala Capitolare, orinigariamente adibita a chiesa del collegio dei gesuiti, caratterizzata dai bianchi stucchi della volte a botte, che rendono particolarmente arioso lo sviluppo longitudinale dell’ambiente. La sala custodisce nelle due nicchie laterali all’ingresso due sculture lignee, una raffigurante Santa Giovina, l’altra un settecentesco busto ligneo raffigurante S. Filippo Neri. Fino al 1999 si conserva un gruppo scultoreo in legno raffigurante S. Giuseppe col Bambino, spostato nella cappella del Battistero dopo i lavori di restauro.

Altare maggiore e presbiterio

Al di là del transetto, la Cattedrale presenta un ampio presbiterio. L’altare principale, posto a ridosso dell’abside, in marmi policromi, fu realizzata da Mons. Del Giudice Caracciolo nel 1824, quindi ampliato e completato colo tabernacolo dal successore Mons. Costantini, cui si deve la balaustra in marmo e la mensola rituale, entrambe segnate dal suo stemma episcopale.
Nell’incavo dell’abside, si taglie il grande stucco dell’Assunta con gli Angeli, eseguita sotto la supervisione del Gimma, imponente nelle dimensioni, plastico nelle forme e nel movimento della figura dell’Assunta, degli Angeli e dei puttini ai suoi piedi: Lungo la curvatura dell’abside, ai lati della statua, troviamo due grandi tele, a sinistra l’Adorazione dei Pastori (Vito Calò, 1805), a destra l’Adorazione dei Magi (Epifania) di ispirazione giaquintesca, realizzato dal romano Paolo Lanari.
Sulle pareti laterali, al di sopra degli stalli del coro sono collocati quattro grandi quadri entro cornici di stucco; a destra: S. Ignazio, che con l’approvazione dell’Eterno si accinge a diffondere la fede nelle quattro parti del mondo, e S. Franceso Saverio, di Carlo Rosa, databile alla prima metà del XVII secolo; a sinistra; le tele rispettivamente di S. OronzoS. Oronzo, (foto a destra) attribuito alla bottega di Carlo Rosa e databile poco dopo il S. Francesco Saverio; accanto,
Madonna con il Bambinola Madonna col Bambino (già Madonna della Neve)(foto a sinistra), di scuola dematteisiana, databile primo ventennio del XVIII secolo.

Capellone dell’Asssunta

Ha le stesse caratteristiche formali e strutturali di quello dell’Addolorata: simmetrica, infatti, è l’apertura delle nicchie (entro le quali troviamo S. Marco e S. Luca) e delle porte; identico è pure l’altare di stucco.
Al centro dell’altare, nella cornice in stucco tra i due evangelisti, vi è l’Assunta  Assunta Giaquintodi Corrado Giaquinto (1703-1766), commissionata in un primo tempo da Mosn. Salemi per l’altare maggiore del vecchio duomo, successivamente trasferita da Mons. Antonucci nell’attuale dimora dal 1785. La scena narra l’ascensione della Vergine; in basso, intorno al vuoto sarcofago, figurano i santi Nicola, Corrado, Antonio da Padova, Pietro e Paolo, databile intorno l 1740.