Restauriamo l’immagine di Dio in noi – 2 aprile

Giovedì V settimana di Quaresima (2 aprile)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 8,51-59)

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?».

Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: ”È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia».

Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono».

Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

In questi giorni Gesù sta facendo un discorso sulla figura del Padre cercando di mostrare l’intimo legame che c’è tra Lui e Dio.

In verità vorrebbe mostrare ad ognuno questo speciale legame che lega Dio Padre con noi.

Non dimenticandoci che come figli ad immagine e somiglianza sua, portiamo in noi quel volto santo che ci fa – spesse volte – sentire la nostra piccolezza in confronto alla sublime bellezza e maestà del Padre celeste.

Saper riconoscere Dio in noi, però, ci mette di fronte alla consapevolezza della morte, ma non una morte fine a se stessa, Egli (Gesù) ci parla degli effetti del peccato; se noi resistiamo in questa situazione, sperimenteremo la “morte eterna”, cioè non ne verremo mai a capo, non sperimenteremo mai la luce senza fine, non ci prodigheremo mai a sufficienza per scoprire quella immagine impressa in noi, quella immagine che ci conduce alla santità.

Ciò che il Signore ci chiama a fare quest’oggi è un accurato lavoro di ‘restauro interiore’, quello stesso restauro, che in termini bruschi, accenna anche ai suoi interlocutori chiamandoli addirittura mentitori.

Gesù tirando in ballo Abramo, facendo venir fuori la fede di questi uomini smaschera la loro e talvolta anche la nostra ipocrisia, nel non voler crescere nella fiducia in Lui!

Tuttavia il restyling che Gesù ci mostra richiede molto impegno e particolare cura, infinita pazienza e spesso spirito di abnegazione.

Chiediamoci quest’oggi: quanta cura abbiamo di noi stessi? Cura della nostra vita interiore, della vita affettiva, cura del nostro sapere, cura dell’altro, cura di noi stessi; quanto impegno ci mettiamo nel non aderire al peccato, quanto ci sforziamo nel debellare questa condizione che cattura la nostra libertà nella morsa dell’errore, del giudizio, delle nefandezze.

Siamo perciò chiamati ad essere restauratori, un mestiere ed un arte semplice per chi la ama ma anche complessa per chi la pratica, restaurare significa saper aspettare, saper discernere, saper perdere!

Alla fine di questo lavoro di restauro, se davvero vogliamo Vivere senza sperimentare quella morte eterna, sul nostro volto riapparirà – quasi inconsapevolmente – quel volto di Dio impresso in ciascuno, alla fine di tutto questo potremmo guardarci in faccia e capire che il divisore ci porta a quella morte con il peccato, facendoci divenire talvolta belve l’uno nei confronti dell’altro, ma che Dio ci unisce con la bellezza della sua presenza, che ci prepara un posto nel quale vivremo faccia a faccia con Lui.

“Lasciamo che Cristo dimori nel nostro cuore! Affidiamogli la nostra prova! Egli ci aiuterà a sostenerla.” (GPII). Buon lavoro restauro a tutti!

don Dario Vacca

amministratore

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