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VII Comandamento, l’integrità del creato e il lavoro

Catechesi_lectio_parroco (1)Durante la catechesi comunitaria sul VII Comandamento (approfondisci), don Pasquale ha commentato anche un altro aspetto di questo Comandamento, ovvero il rispetto dell’integrità della creazione.
«Gli animali, come anche le piante e gli esseri inanimati, sono naturalmente destinati al bene comune dell’umanità passata, presente e futura. L’uso delle risorse minerali, vegetali e animali dell’universo non può essere separato dal rispetto delle esigenze morali. La signoria sugli esseri inanimati e sugli altri viventi accordata dal Creatore all’uomo non è assoluta, perché deve misurarsi con la sollecitudine per la qualità della vita del prossimo, compresa quella delle generazioni future; esige un religioso rispetto dell’integrità della creazione – ha spiegato don Pasquale -. Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi. Le sperimentazioni mediche e scientifiche sugli animali sono pratiche moralmente accettabili, se rimangono entro limiti ragionevoli e contribuiscono a curare o salvare vite umane: ma è contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita ed è pure indegno dell’uomo spendere per gli animali somme che andrebbero destinate, prioritariamente, a sollevare la miseria degli uomini. Si possono amare gli animali, ma non si devono far oggetto di quell’affetto che è dovuto soltanto alle persone».
È anche vero che il VII Comandamento è fondamento della Dottrina Sociale della Chiesa (approfondisci). In particolare, in riferimento al lavoro che, provenendo da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre e per le altre, l’opera della creazione sottomettendo la terra, è un dovere. Tra l’altro, come ha sottolineato don Pasquale, il lavoro esalta i doni del Creatore e i talenti ricevuti e può anche essere redentivo quando, sopportando la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, l’uomo in un certo modo coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice, si mostra discepolo di Cristo portando la croce, ogni giorno, nell’attività che è chiamato a compiere. Insomma, il lavoro può essere un mezzo di santificazione e un’animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo.
«Ciascuno deve poter trarre dal lavoro i mezzi di sostentamento per la propria vita e per quella dei suoi familiari, e per servire la comunità umana. Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica. Ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un’abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti. Procurerà di conformarsi agli ordinamenti emanati dalle legittime autorità in vista del bene comune – ha commentato il parroco -. L’accesso al lavoro e alla professione deve essere aperto a tutti, senza ingiusta discriminazione: a uomini e a donne, a chi è in buone condizioni psico-fisiche e ai disabili, agli autoctoni e agli immigrati». 
In quest’ottica, il VII Comandamento proibisce il pagamento di salari ingiusti perché, come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, «il giusto salario è il frutto legittimo del lavoro: rifiutarlo o non darlo a tempo debito può rappresentare una grave ingiustizia». Legittima, inoltre, lo sciopero « quando appare come lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato», ma lo addita come «moralmente inaccettabile» se «accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune».
Infine, la disoccupazione, per carenza di lavoro, quasi sempre rappresenta, per chi ne è vittima, «un’offesa alla sua dignità e una minaccia per l’equilibrio della vita». Oltre al danno che egli subisce personalmente, numerosi rischi ne derivano per la sua famiglia.
Inevitabile la responsabilità dello Stato. «L’attività economica, in particolare quella dell’economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie delle libertà individuali e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire tale sicurezza, di modo che chi lavora possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà. […] Compito dello Stato è quello di sorvegliare e guidare l’esercizio dei diritti umani nel settore economico; in questo campo, tuttavia, la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni di cui si compone la società» (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 48).

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