Opere Pittoriche

LE TELE DI MICHELE DE NAPOLI

Invenzione dell’icona dellINVENZIONEa Madonna di Sovereto, 1882 (olio su tela, cm 405 x 285)

Con il termine di invenzione, dal latino inventio, si intende la scoperta dell’icona della Madonna in un anfratto nella contrada Sovero, da cui il titolo Madonna di Sovereto. Michele de Napoli, conformandosi alla tradizione, ricostruisce la scena riportando tutti gli elementi irrinunciabili del “mito” sacro della scoperta: da quelli ambientali a simulare l’interno della grotta, ai protagonisti del prodigioso evento, la pecora, il pastorello, il cane guardingo. Arricchisce però la scena con le figure degli angeli, negli splendidi abiti serici, posti a semicerchio in adorazione dell’icona della Madonna con il Bambino, una Hodighitria (Colei che indica la Via, cioè Gesù Cristo) del XIII secolo. de Napoli, che da sindaco di Terlizzi  (1867-1870) si adoperò per la conclusione dei lavori di edificazione della Cattedrale, eseguì l’opera nel 1882 per farne dono alla chiesa principale della sua città.

 

 San Tommaso redige l’Officio del Sacramento, 1878 (olio su tela, cm 405 x 285)san_tommaso_redige

San Tommaso d’Aquino (1225c-1274) fine teologo e predicatore dell’ordine Domenicano, fu incaricato da papa Urbano IV, istitutore della festa del Corpo di Cristo nel 1264, di redigere gli inni completi della messa e dell’ufficio della solennità Corpus Domini. Il dipinto riprende e semplifica il tema già affrontato dal de Napoli nell’affresco, non più esistente, per S. Domenico Maggiore a Napoli.  In un ambientazione gotica il santo è raffigurato presso l’ostensorio d’oro in forma di tempietto, vero fulcro della composizione intorno al quale ruota tutta la scena teologica e figurativa. Nei suntuosi paramenti liturgici, a sottolineare la solennità del momento, sono ritratti i quattro santi dottori della Chiesa d’Occidente o Latina (Agostino, Ambrogio, Girolamo, Gregorio Magno) e tre dottori della Chiesa d’Oriente (anche se sono quattro Atanasio, Basilio, Giovanni Crisostomo, Gregorio Nazianzeno). La loro presenza manifesta ed esalta il comune sentire della Chiesa universale. Se i volti dei dottori, pur tratti da modelli dal vivo come era solito fare il pittore, sono idealizzati, quello di san Tommaso, ripreso con la penna nella destra e l’altra mano sul testo sacro, nell’espressione meditativa e con lo sguardo perso nell’elaborazione dottrinale, ben modellato dalla luce spirituale che proviene dall’alto, assume maggiore valenza ritrattistica .

 Cristo eucaristico, 1885 (olio su tela, cm 172 x 119)

L’essenzialità e la solituCristoEucaristicodine della raffigurazione esalta il messaggio teologico dell’opera, con riferimento al sacramento dell’Eucarestia istituito da Gesù stesso. Cristo, assiso e vestito di tunica scarlatta su cui indossa il mantello azzurro, eleva con la mano destra l’ostia e con la sinistra regge il calice lasciando intendere la presenza degli apostoli e del popolo cristiano, spettatori e protagonisti dell’evento fondante il Sacramento: “La vigilia della sua passione,egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili,… e disse: Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”. “Dopo la cena …prese questo glorioso calice…lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati.  Fate questo in memoria di me. L’opera, realizzata da de Napoli su commissione dell’arcidiacono Francesco Paolo Vallarelli, fu inizialmente collocata nella cappella del Santissimo della chiesa di Santa Maria la Nova, ove ora è esposta la copia eseguita dal pittore Raffaele De Lucia.

 

 

Maddalena penitente, 1884 (olio su tela, cm 305 x 195)maddalena

Tra le ultime opere donate da de Napoli alla maggiore chiesa di Terlizzi, è la tela della Maddalena penitente, pendant di quella di uguali dimensioni delle ritorno delle Marie dal sepolcro. L’opera, invero, pur ritenuta dallo stesso come tra le migliori uscite dal suo pennello, produsse grande sofferenza al pittore ormai prossimo alla fine: fu infatti rifiutata all’Esposizione di Torino suscitando sdegno e proteste. La Maddalena, con animo contrito e in sofferenza, unisce in se il ricordo della meretrice (si noti l’ampio scollo della veste che lascia vedere le giovani carni) e dell’eremita che medita – in una cavità nel deserto che tanto ricorda anche nel taglio dei lastroni di rocce il paesaggio murgiano – davanti ad un teschio, la fallacità delle cose umane. Alle tinte forti e decise si contrappone, nella parte alta del dipinto, la visione celestiale di tre candidi angeli, su un cielo crepuscolare dalle tinte tenui: secondo la tradizione provenzale, gli angeli scendevano sette volte al giorno e conducevano la donna in Paradiso, a contemplare il luogo del futuro eterno premio.

 

 Ritorno dal sepolcro, 1885  (olio su tela, cm 302 x 198)

ritorno_dal_sepolcroIl ritorno delle Marie dal sepolcro, dopo l’ufficio pietoso della sepoltura del corpo di Gesù, conclude anche cronologicamente il trittico del cappellone. La Vergine ormai priva di forze, a stento incede sorretta dal giovane san Giovanni, chiusa, quasi protetta, nel panneggio della veste e del mantello azzurro che scende rigido sino a terra e il cui pesante panneggio sembra aggiungere gravità al momento. È seguita dalla figura, più distaccata e ancora in preda ad espressioni del dolore, della Maddalena. In secondo piano la testa di un personaggio barbuto da riconoscersi in Giuseppe d’Arimatea, il ricco ebreo che concesse per la sepoltura il suo sepolcro nuovo. Il gruppo si staglia sull’alta parete rocciosa tipica della conformazione murgiana, così come indicano le piante spontanee, ambiente naturalistico familiare al pittore che ad esso dedico numerosi studi. In lontananza si scorge il sepolcro sorvegliato dal soldati e, ancora più distanziate, sull’alto monte evidenziato dal placido tramonto di una fresca sera di primavera, le tre croci, ormai senza corpi, del Calvario. Il tema fu affrontato dal de Napoli sin dal 1852 anche per una chiesa napoletana, e della sua complessa e tormentata elaborazione rimane una notevole serie di bozzetti e schizzi nella pinacoteca cittadina dedicata al pittore.

 

 

 

 

 

ALTRI PITTORI

 

liberazione di san pietro dal carcere

Tommaso De Vivo La liberazione di san Pietro dal carcere, 1856 (olio su tela, cm 440 x 325)

L’opera, di grande impatto, giunse a Terlizzi nel 1865 quale dono munifico di re Vittorio Emanuele II per la riedificata Cattedrale. Con efficace vena narrativa il pittore da vita al racconto, negli Atti degli Apostoli, della liberazione di san Pietro dal carcere dove Erode Agrippa lo aveva fatto rinchiudere e sorvegliare dai soldati, in attesa di mostrarlo al popolo. Il principe degli apostoli e primo papa – si notino le chiavi incrociate sul pavimento in primo piano – quasi incredulo viene accompagnato attraverso la porta di ferro, che si apre davanti a lui miracolosamente, dalla figura luminosa dell’angelo inviato dal Signore; tutt’intorno i soldati restano assopiti e incapaci di reazione. Commissionato da Ferdinando II e destinato alla truenda chiesa di San Raimondo, il dipinto fu collocato nella Biblioteca Reale da cui fu poi prelevato, all’indomani dell’unità d’Italia, per essere donato al clero di Terlizzi.

Sovereto1Pittore del XIII secolo

Madonna con il Bambino (Madonna di Sovereto)  Tempera su tavola, cm. 45 x 36,5

L’antica e venerata immagine della Madonna di Sovereto fu rinvenuta, secondo la tradizione, nella località Sovero dove poi sorse la chiesa e il villaggio. A scoprirla un pastorello che, alla ricerca di una pecora, la trovò inginocchiata in un anfratto rischiarato dalla fiammella che ardeva miracolosamente dinanzi alla sacra immagine. L’icona, che fu ritenuta opera dipinta da san Luca, fece il suo ingresso trionfale in Terlizzi su un carro parato a festa e trainato da due buoi, mentre il popolo di Terlizzi la acclamava Regina e Patrona. Il mito del rinvenimento si rinnova ogni anno nella famosa festa agostana del “carro trionfale”. Al di là della pia tradizione il dipinto su tavola raffigura la Madonna con il Bambino secondo il tipo bizantino dell’Hodighitria (Colei che indica la Via): la Vergine indossa il maphorion, il manto  azzurro che scende dalla testa e indica con la mano sinistra il piccolo Gesù benedicente che con la mano sinistra regge il globo terraqueo (forse in origine un rotulo). L’immagine, circondata dalla preziosa cornice di lapislazzulo, è inserita in una “macchina” o “cona” d’argento cesellato e sbalzato, realizzata nel 1716 dall’argentiere napoletano Antonio Torrone.

 

 

 

Raffaele de Lucia

Madonna della rosa, 1875  (olio su tela, cm 178 x 141)madonna della rosa

Giovane di belle speranze e allievo di Michele De Napoli, Raffaele de Lucia dopo un breve apprendistato presso l’atelier del noto concittadino, si recò a Napoli per perfezionare la sua formazione artistica. Poche le notizie sul suo percorso artistico e delle opere che rimangono, quasi tutte in collezioni private. Per la nuova Cattedrale di Terlizzi eseguì nel 1875, anno che compare insieme alla firma, il dipinto della Madonna della rosa raffigurane la Vergine con il Bambino Gesù che dialoga con il piccolo san Giovannino, già nelle vesti di predicatore nel deserto (pelle di cammello e borraccia). La sacra conversazione si svolge su una specie di patio che una balaustra divide dal rigoglioso giardino fiorito in cui vi sono numerose rose da cui, probabilmente, il titolo della tela.